mercoledì 14 marzo 2012

a casâ / le cjase / sa domu


Ci sono lingue "balcone", lingue "finestra" e lingue "terrazzo".
Un pomeriggio di marzo ho scoperto che ogni parola aiuta, come il camminare, a creare un paesaggio.


La mia lingua, il siciliano, è una lingua esplosa, di piazza. Chiassosa come una classe di bambini il primo giorno di scuola. Vive l'esterno come una lucertola il sole. È cibo mangiato per strada. È una lingua "buttana". Un terrazzo su un tetto.



Consiglio di lettura: Ignazio Buttitta, La peddi nova, Feltrinelli, Milano, 1963.


Invece, un mio caro amico, Matteo, è friulano. La sua lingua è domestica, (per me) un focolare. Sa di legna e di qualcuno che aspetta. Una lingua cruda, interna, privata, con della propulsione sopita. È un suono composto alle orecchie. Una finestra su una facciata.


Consiglio di lettura: Pierluigi Cappello, Amôrs, Campanotto, Udine, 1999.


Il sardo, viceversa (il sardo che ho ascoltato leggere dalla voce di Silvia o sentito dalle parole di Roberta) è una lingua di pietra, una lingua in salita, impervia. È una lingua che sibila, striscia. È inverno solingo. È selvatica, amara. È occhi sbircianti le strade. È una lingua anemone si scopre, la guardi ma non l'afferri. Un balcone di pietra antica.


Consiglio di lettura: Antioco Casula, Antologia, La Zattera, Cagliari, 1960.


Il modo più bello per scoprire un posto non è solo camminarvici è anche leggerne gli uomini.

1 commento:

  1. Leggere queste parole è più bello di guardare un film. Una pioggia di immagini bellissime.

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