venerdì 27 aprile 2012

Favola di salvezza

Isidoro vuol dire: dono di Iside. Non amava molto il suo nome perché lo riteneva troppo pieno di aspettative... come ogni dono, d'altronde. L'ansia di chi dà, lo stupore di chi riceve, sensazioni che possono cambiare, invertirsi.
Immaginava spesso il momento del presente. Iside intenta a regalare a sua madre un bambino, se stesso. Un dono di un paio di chili, un passaggio univoco... di gesti immediati. Una notte Isidoro, da dono com'era, pensò di restituirsi come le scatole di ricordi tra ex-fidanzati. Essendo Iside la dea della maternità ed essendo la terra concettualizzata come madre, Isidoro pensò di riconsegnarsi al suolo. Corse per una città alla ricerca di un fosso dove sparire ma non lo trovò. Nel suo peregrinare incontrò il mare, un mare prima dell'alba liscio e fulgente,
credette possibile donarsi ad esso... d'altronde il suo fondale è sempre la terra. Prima di lasciarsi andare immaginò, però, gli occhi color sterrato o pieni di cielo, occhi salvifici veduti nel mondo. Li pensò languidi come i suoi ed a quel punto si fermò rasente il baratro, si sentì legato. Stette immobile per un paio di minuti fissando quello che sarebbe stato il suo ultimo ricordo poi tornò a casa a mezz'aria. Camminando Isidoro pensò di avere oltre ad un nome pieno di aspettative, un nome che in un eccessivo altruismo faceva dimenticare che lui non era né Iside né il dono. Era un uomo, primariamente.

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